Pubblicità, Giornalismo, Fiction, Social: un confronto tra simboli e pratiche culturali

Pubblicità, Giornalismo, Fiction, Social: un confronto tra simboli e pratiche culturali

I linguaggi della cultura di massa presentano aspetti culturali e simbolici standardizzabili, stereotipati e predisposti alla replicabilità ricorsiva. Necessitano di canovacci adatti alla riproduzione seriale di (brevi o lunghe) istantanee narrative caratterizzate da soggetti, schemi d’azione, paradigmi e tecniche di montaggio che originano intrecci ridondanti e topoi prevedibili. La struttura di una fiction, lo storyboard di uno spot pubblicitario, il modulo di un articolo giornalistico, la scaletta di un presentatore, il post di un profilo sociale, il soggetto di una sceneggiatura o il finale sospeso di ogni puntata di una soap, sono ingranaggi di una creatività routinaria dell’industria culturale. Esempi burocratizzati che non favoriscono innovazioni radicali. Non sono semplicemente i luoghi in cui è avvenuto il “delitto perfetto” della realtà – come direbbe Braudillard – ma anche pratiche sociale che conservano pluralità d’intenti di una realtà retorica e e doppia che utilizza le novità banalizzandole, senza prende in considerazione i comportamenti “autenticamente reali” che sono più sfumati. Non vi è immedesimazione serrata con l’autenticità del vivere quotidiano fatto di noia, attese, senso di frustrazione, scelte rimandate. Non avendo il tempo per analizzare la complessità del reale, questi mondi scelgono di rappresentare lo stereotipo più conveniente e immediatamente coinvolgente. Diventano simboli, schemi d’azione e pratiche polarizzanti che cristallizzano l’agency.  Se la rappresentazione è stata parola chiave della modernità, nella dopo-modernità essa si rivela manierismo ampolloso del déjà-vu.