I rischi della società della tecnica
La pervasività della tecnica è al centro del dibattito moderno e contemporaneo nella filosofia e nelle scienze sociali. Heidegger, Jünger, Hillmann, Severino, Luhmann, Bauman, Beck: sono alcuni dei più illustri intellettuali che hanno riflettuto sul tema.
Per l’uomo del XX e del XXI secolo, la tecnica perde la sua natura strumentale.
Essa diventa lo scopo di ogni agire. La razionalità strumentale, nel tentativo di produrre sicurezze, determina il suo contrario:
- campi di concentramento (dove contenere vite considerate disfunzionali, programmandone l’eliminazione);
- ingegneria tecno-sociale (dove tracciare i dati dell’individuo per riordinare il sociale sotto il segno di un pensiero unico, consumista o rivoluzionario che sia);
- terrorismo tecno-religioso (dove l’uomo diviene strumento di morte incorporato nelle tecnologie che lo rendono kamikaze-esplosivo).
L’utilizzo della tecnica produce sentimento di sicurezza contro l’imprevedibile. Tuttavia, il rimedio diventa, nel tempo, peggiore del male da curare. La tecnica, come strumento utilizzato per porre un freno al divenire attraverso la capacità previsionale, si trasforma nel fine ultimo dell’uomo. Se nelle civiltà antiche è accaduto che l’uomo cercasse di disporre della tecnica per la propria auto-realizzazione, oggi il processo viene rovesciato: è la tecnica a servirsi dell’uomo, allo scopo di accrescere la sua volontà di potenza.
Esiste alternativa? Occorre ripartire dall’origine della causa (la conoscenza utilizzata come strumento di dominio) e trovare un sentiero che oltrepassi la tendenza all’esercizio del controllo, per costruire una cultura che consideri paritaria e non gerarchica la sua relazione con il divenire della tecnica.