Gli effetti indesiderati dello Smart Working
La recedente pandemia determinata dalla diffusione del Covid-19 ha indotto il Governo italiano ad emanare norme di promozione e diffusione del “lavoro agile”, introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 81 del 2017. Tale tipologia contrattuale, comunemente denominata smart working, è caratterizzata da una particolare ‘modalità di svolgimento’ della prestazione lavorativa subordinata, concordata tra datore di lavoro e lavoratore, che offre a quest’ultimo di svolgere parte dell’attività lavorativa in luoghi diversi da quelli aziendali e all’interno di determinate fasce orarie. L’agilità che caratterizza questa forma di lavoro non costituisce una semplice evoluzione del telelavoro. Il lavoro agile, infatti, muta i rapporti tra datori e lavoratori, modifica le relazioni familiari e stravolge le tradizionali costruzioni sociali di spazio, tempo e luogo. La percentuale degli italiani che si sono ritrovati a lavorare in modalità smart working durante l’emergenza pandemica è del 9%, ma il 56% degli italiani sarebbe disposto a costruire tale esperienza dopo la fine dell’emergenza, anche per un solo giorno alla settimana. Ma come tutti i fenomeni che determinano cambiamenti sociali, economici e culturali, anche il lavoro agile assume caratteristiche ambigue e paradossali. Può migliorare la qualità della vita o incrementare il carico di lavoro e di ansia; risolvere o acuire i conflitti familiari; incidere positivamente o negativamente sulla produttività.
In questo filone di ricerca di frontiera, grazie al contributo di altri ricercatori, ho preso in esame le ambiguità della norma italiana attuale nonché vantaggi, svantaggi, effetti indesiderati e perversi dello smart working, sottolineando che ogni soluzione concepita per risolvere determinati problemi, ne crea altri prevedibili o inaspettati. L’analisi della norma permette di valutare possibili ambiti di intervento legislativo e il ruolo che potrà assumere l’autonomia collettiva per favorire un bilanciamento tra le esigenze di datori e lavoratori; l’analisi sugli effetti indesiderati pone, invece, la questione delle mutate relazioni di fiducia rispetto alle nuove prassi di lavoro.