Mcluhan non abita più qui? La provocazione di Alberto Contri

Di Simone D’Alessandro

Nell’era della comunicazione “da tutti a tutti”, il pubblico diventa il messaggio perché costituisce, al tempo stesso, il percettore e il vettore che si rende disponibile a veicolare la comunicazione ad altre persone. Questa è in estrema sintesi la provocazione di Alberto Contri nel suo Mcluhan non abita più qui? I nuovi scenari della comunicazione nell’era della costante attenzione parziale, Bollati Boringhieri, Torino, 2017. Contri è stato copywriter e direttore creativo di multinazionali della comunicazione, ma anche Direttore Editoriale di RaiNet. Dal 1999 è Presidente di Pubblicità Progresso che ha trasformato nel 2005 in Fondazione per la Comunicazione Sociale.

Un professionista traboccante di esperienze che riversa su carta, dando indicazioni utili sul futuro della comunicazione, a partire dal suo precario e volgare presente; dimentico, a sua volta, di un passato stabile e raffinato. L’autore descrive gli ultimi 60 anni di pubblicità pubblica e privata, dimostrando di comprendere le evoluzioni del settore a partire dai segnali deboli, come lui stesso li chiama: quelle pratiche sociali che potrebbero trasformarsi, da un momento all’altro, in nuove tendenze. Una tra tutte il cambio di paradigma dal mezzo alle persone.

Se Mcluhan, nel 1967, dimostra che “il mezzo è il messaggio” Contri, nel 2017, afferma che “le persone sono il messaggio”. In questo pensiero c’è più continuità che rottura con l’illustre sociologo canadese, come apostrofa De Kerckhove nella prefazione all’opera. Il pubblico contemporaneo è sempre connesso e, allo stesso tempo, sempre distratto da altro. Difficile, in tale scenario, consolidare nuovi brand. Bisognerebbe tornare al vecchio modo di fare advertising, ripristinando la logica del “servizio completo d’agenzia”. Contri dimostra, dati alla mano e con decine di case history di successo analizzate nel dettaglio, che la viralità di certe idee dipende ancora dal rigore creativo di chi pensa da intellettuale della comunicazione: un ritorno al sapere critico di Bernbach.

Altro tema centrale è assunto dalle conseguenze della tecnica, per dirla con Heidegger, che Contri cita in più occasioni. È possibile che il cervello umano si stia adattando alla ipervelocità delle nuove tecnologie, oppure assistiamo alla nascita di patologie legate al sovraccarico di compiti richiesti al cervello che non può svolgere, a livello conscio, troppe funzioni contemporaneamente? Il libro su carta rappresenta ancora l’unico posto dove la parola si ferma e dove l’occhio del lettore la controlla completamente: queste sono le assertive conclusioni dell’autore.

Sullo schermo il lettore è prigioniero non solo del fascino della luce dello schermo, ma anche della voglia di interagire. Colui che legge sullo schermo non è solo un lettore; è anche uno scrittore, un editore e un comunicatore. Derrick De Kerckhove lo definisce “screttore” nella sua analitica prefazione. Questo nuovo soggetto si lascia sedurre da sé stesso, non da altri. A meno che non venga schiaffeggiato da idee forti, in grado di declinarsi per anni, generando buzz. Dopo molti saggi banali sul tema, finalmente un libro utile, costruito su esperienze personali e di contesto.