Di Simone D’Alessandro
È possibile minare la nozione comune di intelligenza, mettendo in discussione l’assunto che essa possa essere misurata da strumenti verbali standardizzati o test?
La risposta affermativa proviene da Howard Gardner, professore di Scienze Cognitive alla Harvard University, attraverso una serie di ricerche durate 12 anni e culminate nel libro Formae Mentis, Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, edito la prima volta nel ‘83[1], tradotto in italiano nell’87 e ristampato nel 2010 da Feltrinelli, in una versione ulteriormente aggiornata.
Cosa c’è di sconvolgente e, al tempo stesso, intuitivo in questo libro? Innanzitutto, la complessità delle differenti intelligenze umane, assolutamente irriducibili a una matrice universale e univoca. Contestando fortemente la nozione di “grandi facoltà generali”, Gardner dimostra l’impossibilità di misurare le intelligenze mediante test. Secondo Gardner «gli esseri umani si sono evoluti in un modo che consente loro di esibire varie intelligenze e non di attingere variamente a un’intelligenza flessibile[2]» unica. Egli, inoltre, non dà particolarmente pregio alla parola “intelligenza” ed è decisamente ostile a ogni tentativo di contrapposizione tra intelligenza e talento.
Gardner è un fautore delle localizzazioni celebrali, ritenendo che le diverse parti del sistema nervoso siano in grado di mediare capacità intellettuali diverse. In questo si contrappone agli olisti, i quali ritengono che le principali funzioni intellettuali siano proprietà della mente nella sua totalità. Questa contrapposizione esisteva da tempo: Charles Spearman[3], nel 1927, aveva sviluppato test d’intelligenza credendo in un fattore d’intelligenza generale, mentre Thurstone[4] postulava, prima di Gardner, l’esistenza di una famiglia di abilità mentali primarie, fra le quali non ne esiste alcuna che eserciti la sua preminenza. Grazie all’ampia rassegna di materiali messi in relazione (studi su: bambini prodigio, pazienti con lesioni cerebrali, idiots savants, bambini e adulti normali, individui appartenenti a culture differenti), Gardner arriva alla classificazione delle intelligenze umane in 7 famiglie: a) intelligenza linguistica; b) intelligenza musicale; c) intelligenza logico-matematica; d) intelligenza spaziale; e) intelligenza corporeo-cinestetica; f) intelligenza personale; g) intelligenza interpersonale.
Cos’hanno in comune un ragazzo delle isole Puluwat, scelto dalla sua comunità per diventare maestro di navigazione, un quindicenne iraniano che conosce a memoria l’intero Corano, un’adolescente francese esperto di programmazione e un compositore capace di eseguire ciò che compone? Il primo sarà dotato di intelligenza spaziale; il secondo avrà abilità linguistiche; il terzo avrà attitudini logico-matematiche; il quarto avrà unito l’intelligenza musicale alla capacità corporeo-cinestetica che gli consente di interpretare degnamente ciò che crea.
Gardner delinea una teoria delle competenze intellettuali che mette in discussione la concezione classica dell’intelligenza. Per millenni un certo modo di concepire l’umano “intelligere” e con esso il “conoscere”, ha portato alla costruzione di un’impalcatura di presupposti dedotti a priori, ma non verificati empiricamente. Tra questi la distinzione presocratico-cartesiana “mente/corpo” che continua a influenzare diffusamente l’opinione comune, nonostante i neuroscienziati – si veda Damasio e il suo L’errore di Cartesio – abbiano dimostrato che l’intelligenza “viva anche nel corpo”, così come i pensieri “somatizzano”. Oppure, la contrapposizione tra immaginazione e conoscenza: concezione che ha influenzato, erroneamente, anche il brillante Einstein.
Gardner dimostra che «ragione, intelligenza, logica e conoscenza non sono sinonimi»[5] e che non vi è sempre contrapposizione netta tra intelligenza ed emozione o intelligenza e abilità corporea. Il sociologo Sennett, percorrendo sentieri disciplinari differenti, arrivava a conclusioni simili sul tema mente/corpo, ricordando che l’intelligenza computazionale dell’homo sapiens sia nata anche grazie al pollice della mano.
I pensatori medievali divisero i saperi in trivio (grammatica, logica e retorica) e quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica). La modernità costruì la distinzione tra scienze dure e scienze umane – rimessa in discussione nel Novecento dalla teoria della relatività, da un lato, nonché dalla meccanica quantistica, dall’altro. Oggi fioriscono nuove discipline ma i loro confini diventano liquidi, per usare un’espressione cara a Bauman. Le teorie di Gardner ribaltano classificazioni tradizionali che hanno sopravvalutato alcune intelligenze rispetto ad altre, in modo del tutto arbitrario e classista sopratutto nelle scuole. Allora, il lavoro di Gardner diventa uno strumento prezioso anche per gli insegnanti: «solo se amplieremo e riformuleremo le nostre opinioni su che cosa si intenda per intelletto umano, saremo in grado di escogitare modi più appropriati per stimarlo e modi più efficaci di educarlo»[6].
[1] Titolo originale dell’opera Frame of Mind, The Theory of Multiple Intelligences, Basic Book, New York.
[2] In H. Gardner, Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano, 2010, pag. 12.
[3] Si veda C. Spearman, The Abilities of Man: Their Nature and Measurement, Macmillan, New York, 1927.
[4] Si veda L. L. Thurstone, Primary Mental Abilities, Psychometric Monographs, 1938, n. 1.
[5] H. Gardner, op. cit., 2010, p. 32.
[6] H. Gardner, op. cit., 2010, p. 29.