Di Simone D’Alessandro
Nel 2006 un brevissimo romanzo – appena 96 pagine – di Philippe Vasset, dal titolo Generatore di Storie pubblicato da Voland, descriveva in chiave fanta-tecnologica l’esistenza di un software denominato “script-generator” in grado di creare automaticamente qualsiasi tipo di libro, film, pubblicità o videogioco. Il suo sconfinato database conteneva tutte le notizie, le storie, i personaggi, le ambientazioni e le trame, reali o fittizie, del passato e del presente. Combinando all’infinito tali materie prime, si ottengono best seller. Il tutto senza l’aiuto dell’uomo. Il software, infatti, inventa anche gli autori di queste opere, costruendo nomi e biografie specifiche. L’idea di una scrittura capace di realizzarsi automaticamente non è nuova. Apparteneva ai surrealisti, come non ricordare il manifesto di Breton? Ma si potrebbe risalire a Joyce e ancor prima a Cartesio, per poi trovare altri, ancor più vetusti maestri che hanno pensato alle possibilità tecniche di replicare, incrociare, decostruire e rielaborare pensieri e parole, producendo qualcosa che assomigli all’umano.
Con il racconto di Vasset cambia la soluzione tecnologica: l’algoritmo si sostituisce universalmente e impersonalmente a tutte le altre tecniche sinora sperimentate: dal collage applicato da Burroughs al Pasto Nudo alle provocazioni del gruppo ’63; dal grammelot alle invenzioni dadaiste.
Il software abbatte le soluzioni del passato, ma anche l’uomo che le ha inventate. La combinazione programmata produce opere. La logica combinatoria sostituisce il pensiero umano errabondo, generativo, limitato e cosciente. Oggi la storia di Vasset si avvera in politica, ma nel modo più banale e casuale possibile. Il nodo problematico al centro di questa vicenda è lo scadimento del processo creativo. Combinare automaticamente senza l’errore dell’umano, ci trasporta verso torpore cerebrale. La quadratura del cerchio? Rendere pienamente coerenti ed efficaci tutti i pensieri possibili attraverso un algoritmo. Fortunatamente la realtà tecnologica odierna presenta una serie di limiti rispetto alla distopia di Vasset: non è ancora possibile generare ottime opere e sarà sempre impossibile contenere tutte le storie umane.