Teoria dell’inconcettualità: Blumenberg e la Metaforologia

Di Simone D’Alessandro

La posizione eretta ha spinto l’uomo a formulare il concetto della previsione

Nel momento in cui l’uomo ha conquistato l’andatura eretta, ha avuto la possibilità di vedere ciò che non è ancora immediatamente presente, ciò che non è incombente.

Tale abilità rappresenta un lusso che altri animali non possono permettersi: la posizione eretta ha spinto fisicamente l’uomo verso le maglie mentali della previsione.

La razionalità si sviluppa anche sulla base di questo presupposto. Il potere dell’essere umano scaturisce da questa possibilità di pensare ciò che non è impellente, per auto-preservarsi. Ma giocare d’anticipo vuol dire ragionare su cose che non sono ancora del tutto evidenti perché sono distanti al tatto, pur se presenti alla vista. Il ragionamento procede, allora, per indizi, tentativi e soluzioni preventive. Tuttavia, la concettualizzazione è un prodotto che non esaurisce l’ambito della ragione.

Ogni definizione rimanda a un’altra definizione, cibandosi di metafore

Non c’è identità tra ragione, concetto e realtà. Il concetto è mancanza di una rappresentazione compiuta dell’oggetto ed è sorto, originariamente, quando l’uomo ha cominciato a operare una distanza spaziale e temporale. Prima di prendere forma il concetto necessita di qualcosa di indistinto che segni l’inizio del percorso per poi arrivare a una definizione certa.

Già, ma cos’è una definizione?

Il filosofo Blumenberg ci ricorda che: «Sul piano linguistico la definizione si presenta come la sostituzione di un’espressione con un’altra. Su quello logico, questa sostituzione viene descritta come il rapporto di equivalenza di un’espressione con un’altra[1]».

Ogni definizione, quindi, rimanda a un’altra, cibandosi di metafore per costruire ponti provvisori tra ciò che è già noto e ciò che non lo è ancora. Ne consegue che la conoscenza si sviluppa grazie alla facoltà dell’uomo di creare metafore. Purtroppo, nessun segno (né metafora) può essere una risposta soddisfacente alla domanda: che cosa è una cosa che io introduco con un concetto?

Il concetto non è un surrogato dell’oggetto e non è il compimento delle intenzioni della ragione: esso indica semplicemente una direzione rispetto alle cose che si presentano all’orizzonte.

La teoria è sedentaria, il concetto è nomade!

La differenza tra una teoria e un concetto è questa: la prima è “sedentaria”, la seconda è “nomade”.

Qualsiasi ambito del pensiero umano è permeato da definizioni incomplete: nomadi in cerca di una fissa dimora. Dimora che in alcuni casi trovano nella teoria, fino a quando tale teoria non venga falsificata. I giuristi stanno ancora cercando una definizione esaustiva e universalmente condivisa di “diritto”, lo stesso dicasi dei filosofi per il concetto di “essere”, degli economisti per il concetto di “denaro” e via discorrendo. Ogni volta che si da inizio alla danza del pensiero, cercando di costruire idee che permettano di elaborare una definizione, diventa necessario partire da ciò che è oscuro o mancante. Come direbbe Blumenberg: «per ottenere un concetto ci deve essere un presupposto concettuale (…) si deve essere capaci (…) di rendere questo presupposto dominabile e trascurabile in vista di un completamento del concetto[2]» ossia mettere l’inconcettualità al servizio del concetto.

Cos’è la relazione tra metafora, pensiero e linguaggio? È Metaforologia!

Ed eccoci finalmente arrivati al punto! Blumenberg, ideatore della Metaforologia – disciplina che cerca di studiare la relazione tra metafora, pensiero e linguaggio – sviluppa una teoria dell’inconcettualità, dimostrando che il linguaggio di tutti i giorni è pieno di rappresentazioni indirette “secondo un’analogia che non contiene uno schema vero e proprio per il concetto, ma solo un simbolo per la riflessione”. Qualsiasi idea – che innesca il meccanismo dell’elaborazione concettuale – non dà una determinazione degli oggetti, ma offre una definizione delle nostre relazioni tra gli oggetti: è un tentativo, sempre provvisorio, di costruire un legame tra noi e ciò che è altro da noi. Questo tentativo (pre-concettuale?) è rappresentato dalla metafora: una sorta di similitudine abbreviata, «una perturbazione dei nessi dell’omogeneità che rende possibile la leggibilità del testo[3]».

La metafora è una forma di anomalia semantica che ha una determinazione debole. Dire “gamba del tavolo” significa costruire un incrocio tra due universi semantici fra loro distanti per facilitare (in alcuni casi accelerare) la comprensione o per creare una nuova categoria. Dire di una ragazza che è una “rosa”, allarga gli orizzonti di senso, creando molteplici interpretazioni. La metafora è il medium che si sviluppa quando mancano tutti gli elementi per comprendere un fenomeno. Quando la metafora interviene per cercare di costruire un concetto mancante, si fa strumento della creatività. Quando, invece, si stabilizza diventa strumento della retorica, si fa orpello. “Il mare mugula”, “le spighe ondeggiano”, “i tuoi occhi sono laghi in cui vorrei perdermi”: quante volte si è tristemente abusato di queste formule, rendendole comuni, stucchevoli, quasi fastidiose, non più funzionali alla creazione di qualcosa di “inaudito” nel senso letterale del termine. Inconcettualità e metafora dovrebbero “servire” l’inarrestabile tentativo di aggiungere l’inconsueto, lasciando ai mediocri l’abuso delle repliche. 


[1] Blumenberg H., Teoria dell’inconcettualità, Duepunti edizioni, Palermo, 2010, p. 41.

[2] Blumenberg H., op. cit., 2010, p. 63.

[3] Ibidem, p. 77.