Ricominciare da Olivetti: per imprese al di là degli schemi

Di Simone D’Alessandro

Può un’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica? Questi sono gli interrogativi di un testo breve ma illuminante, ristampato più volte Adriano Olivetti ai Lavoratori – pubblicato da Edizioni di Comunità. Casa editrice fondata, tra l’altro, dallo stesso Olivetti – che racchiude due discorsi pronunciati dal grande imprenditore, intellettuale e politico ai lavoratori.

Nel 1954 alle “Spille D’oro” di Ivrea (rivolto ai dipendenti con almeno 25 anni di lavoro in fabbrica) e nel 1955 in occasione dell’inaugurazione del nuovo stabilimento di Pozzuoli.

Olivetti aveva anticipato il futuro, ma il futuro non lo ha seguito. Leggendo i suoi discorsi è difficile stabilire se stiamo entrando nella società della conoscenza e della valorizzazione delle risorse umane o se ne siamo di gran fretta usciti. Perché, in realtà, abbiamo dimenticato gli insegnamenti olivettiani, abbandonando il suo modello che era forse l’unico in grado di coniugare la biodiversità (inevitabile, vocazionale, di comunità) dei nostri distretti industriali con i tempi e le modalità organizzative della grande impresa proiettata verso i sentieri della competizione globale.

Con Adriano le critiche erano ben accette e i manager non erano “yes man”!

Olivetti non concepiva gerarchie asfissianti e pretendeva che gli intellettuali collaborassero con inventori, tecnici, responsabili di produzione e operai, inseguendo il valore del “noi” da contrapporre ai vaneggiamenti dell’io. Nella sua impresa c’era attenzione al clima organizzativo, agli spazi, all’armonia tra persone: i soli elementi che potessero realmente coniugarsi con produttività, creatività, ricerca e sviluppo, motivazione e competizione costruttiva.

Questa propensione è rimasta anche dopo la sua morte avvenuta nel 1960. Il declino di questa grande impresa fu per certi versi segnato da fattori esogeni: una miopia del sistema finanziario e creditizio italiano unita a un cambiamento (in alcuni casi peggiorativo) dei costumi e dei valori della società sempre meno responsabile nei confronti del proprio territorio di riferimento.

Nel disegno olivettiano il capitale azionario delle grandi e medie imprese doveva appartenere anche alla comunità: lavoratori e istituzioni dovevano amministrare assieme all’impresa o quanto meno supportarla nelle scelte strategiche. Questo modello aveva anticipato quello della “co-gestione padronato/sindacati” introdotta in Germania e che ancora determina il successo teutonico, come ricordava il sociologo Luciano Gallino, prima della sua morte, nella sua pregevole introduzione ai discorsi. Se avessimo dato retta a Olivetti, perseguendo con tenacia la sua idea d’impresa (applicabile nel piccolo come nel grande), a quest’ora avremmo potuto disegnare un altro orizzonte, di certo più radioso del presente.

Olivetti aveva concepito un modello d’impresa che andava al di là degli schemi sia collettivistici che fordisti creando, in anticipo rispetto ai tempi, un’impresa socialmente responsabile e attenta alla tutela dell’ambiente. Secondo quest’uomo colto e operoso, l’impresa doveva restituire al territorio e “risarcire” i lavoratori avendo cura del loro benessere psico-fisico e delle loro necessità di autorealizzazione (formazione, borse di studio, attività ricreative, sicurezza nei luoghi di lavoro, tutela dell’ambiente, scuole e servizi per i figli dei dipendenti e a Pozzuoli, addirittura, uffici che permettessero ai lavoratori la vista del mare). Tutto questo perché il lavoro divenisse, a poco a poco, “parte della nostra anima…un’immensa forza spirituale”.

Bisogna ripartire dal suo pensiero, orientarsi verso una green economy che consenta alle vocazioni del nostro territorio di esprimersi al meglio senza deprimere le aspettative di tutti coloro che contribuiscono con senso di responsabilità.

Politica, sistema del credito, territorio, lavoratori e imprese devono allearsi scegliendo assieme i modelli del futuro, evitando posizioni eternamente conflittualiste.

Questo le imprese eccellenti del made in Italy e numerose start-up di nuova generazione lo hanno compreso, ma esse non costituiscono la maggioranza del paese.

Vi lascio con un pensiero di Adriano, chiedendomi quanti siano gli imprenditori autenticamente sintonizzati sulle frequenze delle seguenti parole: “Il mondo moderno deve accettare il primato dei valori spirituali se vuole che le gigantesche forze materiali alla quali esso sta rapidamente dando vita, non solo non lo travolgano, ma siano rese al servizio dell’uomo, del suo progresso, del suo operoso benessere (…) La spinta per la conquista di beni materiali ha corrotto l’uomo vero, ricco del dono di amare la natura e la vita, che usava contemplare lo scintillio delle stelle e amava il verde degli alberi, amico delle rocce e delle onde, ove, tra silenzi e ritmi, le forze misteriose dello spirito penetrano nell’anima”.