Di Simone D’Alessandro
Il Meme: unità di misura dell’informazione culturale o simbolica
Nel 1976 Richard Dawkins, biologo e pedagogo, pubblica Il Gene Egoista e introduce per la prima volta il neologismo “meme”.
L’autore sostiene che siano i geni a determinare la nostra sopravvivenza (e non viceversa) e che tali geni siano «costituiti da molecole in grado di realizzare copie molto fedeli di se stesse»[1].
Egli, tuttavia, sostiene che anche il sistema culturale sia costituito da unità di misura piccolissime che hanno il compito di replicare se stesse. A tali unità da il nome di “meme”, dal greco mimesis (imitazione), unità di misura dell’informazione culturale.
I memi non vengono trasmessi per via genetica, ma per via culturale. Sono idee di base che “infettano” il sistema sociale (del resto lo scrittore William Borroughs già nel 1962 diceva che il linguaggio è un virus[2]) e hanno il compito di replicare se stesse. Il francese Jouxtel ci ricorda che «La Memetica nasce come disciplina che studia la natura e il funzionamento dei memi, ipoteticamente definiti come replicatori culturali»[3].
Essa non va confusa con l’approccio socio-biologico di Wilson. Quest’ultimo, infatti, spiega tutti i comportamenti umani a partire dall’evoluzione genetica; la Memetica, invece, fonda un rapporto circolare tra genotipo e fenotipo, tra influenze genetiche e manifestazioni epigenetiche dove il rapporto tra natura e cultura è circolare e ricorsivo e non esiste una causa primaria scatenante.
Anche le idee combattono per la loro sopravvivenza e subiscono mutazioni
«La memetica ha l’ambizione di studiare i fenomeni culturali, i sistemi sociali e le loro eventuali rappresentazioni mentali o simboliche secondo un principio ispirato alla teoria dell’evoluzione.
Il suo obiettivo è quello di mettere in luce i codici generatori dei fatti culturali e di osservare la loro capacità di evolvere attraverso la trasmissione, la variazione e la selezione in un terreno intra e interumano. Essa rivendica una forma di autonomia del pensiero rispetto al pensatore, l’anteriorità causale dei flussi rispetto alle strutture e si pone, tra l’altro, come una scienza dell’auto-emergere del sapere attraverso la sfida tra i livelli più elementari del pensiero»[4].
Ma nei fatti a cosa serve capire in che modo funzionano i memi?
Partendo dal presupposto che dietro ogni forma di comunicazione umana vi è un passaggio di idee, sappiamo che nel corso della storia un corpus abbastanza omogeneo di esse (archetipi, stereotipi, paure ricorrenti, utopie, distopie, sistemi di classificazione dominanti) ha avuto la possibilità di sopravvivere replicandosi continuamente e allo stesso tempo mutando forma.
Se accettiamo il presupposto goedeliano che ogni verità comporta sempre una parte non dimostrabile e un osservatore non-neutrale; se ci affidiamo, inoltre, al pensiero di Wittgenstein secondo cui l’uso precede il senso o comunque lo costituisce; e se, infine, consideriamo che ogni trasferimento di conoscenze implica un sistema di vincoli e di selezioni all’interno del quale le idee che sopravvivono meglio sono quelle che permangono, mutando nella forma pur preservandosi nella sostanza, allora stiamo già entrando nel mondo del “codice” memetico, di quella “Matrix” nascosta dietro ogni sistema sociale, dalla notte dei tempi ai giorni nostri.
Le idee possono infettare come i virus?
Perché il tema della fine del mondo (dalle parole dell’Apocalisse, alle premonizioni di Nostradamus, alla fine del mondo prevista nel 2012) non cessa di replicarsi? Perché il timore dell’invasione da parte di barbari e/o infedeli ritorna in modo ciclico? Perché si assiste a ondate di tendenze che prendono piede all’improvviso per poi ritirarsi e successivamente ritornare variate nella forma e non nella struttura?
Esistono i memi dei memi, ossia le unità di misura di base che scatenano tutte le battaglie del mondo delle idee? Esistono cure adatte ad attenuare certe influenze virali dannose per il nostro mondo simbolico? Come si gestiscono i “virus” mentali del Complottismo, del Capro espiatorio, del Pensiero Unico: manifestazioni evidentemente nocive di idee che attaccano il nostro sistema cognitivo, intasandolo? La memetica può dare delle risposte o forse non è anche’essa una variazione memetica già presente in passato nella filosofia del linguaggio e nella semiologia?
[1] P. Jouxtel, Memetica. Il codice genetico della cultura, Bollati Boringhieri, Torino, 2010, P. 31
[2] Lo dice nel romanzo The Ticket That Exploded, ripubblicato in versione italiana da Adelphi nel 2009.
[3] P. Jouxtel, Op. cit., 2010, p. 37.
[4] Ibidem p. 47